È iniziato mercoledì scorso, 3 ottobre, a Roma il Sinodo dei vescovi con il Papa Francesco sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. In questi primi giorni, “ascolto” è il termine che maggiormente è risuonato nell’Aula del Sinodo. Ascoltare, per la Chiesa, non è una indagine sociologica, o pedagogica; è un modo di essere è ed una questione teologica, come ci ammonisce il libro dei Proverbi. È dall’ascolto che deriva la capacità della Chiesa di lasciarsi toccare dalle sfide e dalle opportunità che il mondo giovanile offre. In fondo – come testimoniato da un’uditrice – i giovani oggi sono essenzialmente in ricerca di dialogo, autenticità, partecipazione; vogliono essere ascoltati e guidati a comprendere meglio se stessi, laddove sono, intellettualmente, spiritualmente, emotivamente, socialmente spiritualmente. È qui che necessitano di testimoni viventi di evangelizzazione. Quello, poi, dei luoghi dove praticare questo ascolto è stato un altro dei temi sviluppati. E la risposta è stata che la Chiesa deve essere nei luoghi del mondo, nel proprio tempo. Il punto non è aspettare che io giovani vengano alla Chiesa, ma come portare la Chiesa ai giovani. Ai migranti, che sono giovani soprattutto. A chi si impegna nello sport. A chi è scartato. A chi cade nel pessimismo. A chi è vittima della cultura “compra-usa-getta”. Le parrocchie allora diventano luoghi di incontro da rilanciare affinché non siano luoghi di “addomesticamento”, ma di incontro. Affinché anche la Chiesa, ascoltando i giovani, sappia vedere nei loro sguardi il futuro a cui dare una risposta. Per fare questo, occorre un nuovo atteggiamento della Chiesa, un atteggiamento che ispiri fiducia, vicinanza, speranza; è necessaria una pastorale dialogante e lontana dal clericalismo. Il giovane è un luogo di Dio, perché è in lui che Dio si fa presente, affermano i Padri Sinodali, esortandosi l’uno l’altro ad una testimonianza di vita e di fede più veritiera. E per questo credibile.