Preghiera superba e preghiera umile

Il pubblicano si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di  me peccatore” (Luca 18,13)
Gesù narra la parabola del fariseo e del pubblicano “per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Con un particolare inquietante: il personaggio presuntuoso è uno che prega; è un fariseo, uno che osserva a puntino la Legge. Gesù non lo critica per questo… anzi apprezza chi fa il proprio dovere. Lo critica perché si vanta di fronte a Dio giudicando gli altri. Parte bene: “O Dio, ti ringrazio”, ma poi perde l’orientamento giusto: “perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano”. Parte con Dio e poi mette davanti se stesso; la sua preghiera diventa un trampolino di lancio per lanciare in alto se stesso e abbassare gli altri.
Pregare e poi puntare il dito sugli altri, criticando tutto e tutti è per Gesù un peccato in più.  Non è possibile amare Dio quando non si ama il fratello.
La parabola ci rivela che può esistere una preghiera superficiale… no… falsa! Quando separa l’amore di Dio dall’amore del prossimo.
Il fariseo costruisce la sua preghiera attorno a quello che fa: io non sono ladro, ingiusto, adultero, io pago le decime. Il pubblicano la costruisce, invece, attorno a quello che Dio fa: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore”.
Il fariseo è ossessionato dall’io e tratta Dio come un suo ammiratore; il pubblicano invece sa di aver bisogno di Dio per vivere e chiede misericordia.
Ecco perché solo il pubblicano è perdonato: perché il Signore può entrare solo in un cuore umile, aperto… mentre il cuore superbo gli si presenta come una porta chiusa col catenaccio ben tirato!