“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Luca 23,42)
Gli Israeliti si aspettavano un grande re. Lo sognavano ricco, avvolto in abiti preziosi, seduto su un trono d’oro. Volevano vederlo dominare su tutti i popoli e umiliare i nemici, costringendoli a prostrarsi ai suoi piedi e a lambire la polvere (Salmo 72). Nutrivano la speranza che il suo regno sarebbe stato eterno e universale. La risposta di Dio a queste attese è sconvolgente: il Vangelo di Luca ci fa salire in cima al Calvario e ci presenta Gesù inchiodato sulla croce, con due malfattori al suo fianco e sopra il suo capo una scritta: “Questi è il re dei Giudei”.
Ma sarebbe costui l’atteso figlio di Davide? E dove sono i segni della regalità? Può un uomo il queste condizioni essere considerato re? Egli non domina dall’alto di un trono regale, non è circondato da servi e non ha soldati pronti ad eseguire i suoi ordini. È nudo sulla croce, davanti a uomini che lo insultano e lo deridono. Che strana regalità quella di Gesù! L’opposto di quella che gli uomini sono soliti immaginare. Perché non scende dalla croce? Perché non compie il miracolo? Tradirebbe così la sua missione. Confermerebbe che il vero Dio è quello che i potenti di questo mondo hanno sempre adorato perché simile a loro: forte, arrogante, oppressore, vendicativo e violento. No!
Il Dio che Gesù ci rivela è il Dio che ama tutti, perfino chi lo combatte; che perdona sempre, che salva, che si lascia sconfiggere per amore. Dio non è onnipotente perché può fare ciò che vuole, ma perché ama in modo immenso, perché si mette senza limiti e senza condizioni a servizio dell’uomo, fino a dare la vita. Lo capisce bene uno dei malfattori che, crocifisso accanto a Gesù, lo chiama per nome e gli chiede di ricordarsi di lui quando entrerà nel suo regno. La risposta di Gesù è immediata: “Oggi con me sarai nel paradiso”. Da malfattore a santo: il primo, canonizzato direttamente da Gesù.