“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Matteo 11,3)
Giovanni è in prigione. Ha sentito parlare di Gesù, di quello che sta facendo. Quello che gli riferiscono, tuttavia, non sembra proprio andare d’accordo con le sue attese. Per lui il Messia è uno che farà piazza pulita, senza mezzi termini. Spazzerà scandali e ingiustizia, ripristinerà un rapporto autentico e sincero con Dio. Eserciterà in modo lucido e implacabile il giudizio. Gesù non è proprio un Messia di questo genere.
E probabilmente Giovanni ha sentito qualcosa che rimette in discussione la sua immagine dell’Inviato di Dio. Offre misericordia, mangia con i peccatori, si rivolge ai poveri, guarisce e solleva quanti sono abbattuti. Ecco perché la domanda: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?”. La risposta di Gesù è altrettanto franca e chiara: “Andate e riferite a Giovanni quello che udite e vedete…”.
Gesù non fa un elenco di performances, di miracoli e di prodigi, ma in questo modo conferma a Giovanni che egli è proprio il Messia “inatteso”, il Messia “al contrario”; il Figlio di Dio che si occupa dei maledetti, degli scartati e dei rifiutati.
Non sappiamo se questa risposta ha fatto uscire il Battista dai suoi dubbi. Ma Gesù farà rimarcare a tutta la folla che il precursore, anche attraverso la sua spoliazione, la sua fatica di capire, ha annunciato bene il Messia.
Cogliamo allora che per raggiungere Gesù non esiste un percorso già bell’è fatto: non esistono ricette, perché Gesù non si lascia rinchiudere in formule. È quello che è: attende e desidera che ciascuno lo riconosca.
Lo riconosceremo nella notte di Natale? E nello scorrere dei giorni in altre mille occasioni?