Nella lettura biblica tratta dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi, l’apostolo Paolo usa proprio questa parola: “venuta”, che in greco è “parusia” e in latino “adventus” (1 Ts 5,23).
Secondo la comune traduzione di questo testo, Paolo esorta i cristiani di Tessalonica a conservarsi irreprensibili “per la venuta” del Signore.
Ma nel testo originale si legge “nella venuta” (εν τη παρουσια), quasi che l’avvento del Signore fosse, più che un punto futuro del tempo, un luogo spirituale in cui camminare già nel presente, durante l’attesa, e dentro il quale appunto essere custoditi perfettamente in ogni dimensione personale. In effetti, è proprio questo che noi viviamo nella liturgia: celebrando i tempi liturgici, attualizziamo il mistero – in questo caso la venuta del Signore – in modo tale da potere, per così dire, “camminare in essa” verso la sua piena realizzazione, alla fine dei tempi, ma attingendone già la virtù santificatrice, dal momento che i tempi ultimi sono già iniziati con la morte e risurrezione di Cristo.
(dall’omelia di Benedetto XVI – 29.11.2008)