Continuano i lavori del Sinodo, ormai giunto al termine della terza settimana. I circoli minori si riuniranno fino a sabato per la terza parte dello Strumento di Lavoro dedicata al tema “Scegliere”. Poi si procederà con la stesura del Documento finale. Sarà stilata anche una lettera che sarà diffusa ai giovani di tutto il mondo. Si lavora principalmente per tre obiettivi: che i giovani siano più protagonisti della Chiesa e che per loro ci sia più evangelizzazione e attenzione. Uno dei temi ricorrenti è quello della attenzione al mondo digitale, molto frequentato dai più giovani, un modo anche di entrare nel campo educativo e formativo. Le direttive indicate dai padri sono in effetti due: quella spirituale e di formazione della persona, e quella di preparazione alla cittadinanza attiva e alla partecipazione politica. La necessità di educazione e formazione è forte nei paesi più poveri dove sono spesso rare opportunità di futuro per i giovani. Come riporta l’Osservatore Romano nella sua sintesi “lì dove le istituzioni sono corrose dal cancro della corruzione, i giovani, formati alla luce del Vangelo, possono essere occasione di speranza per l’intera società”.
Al Sinodo si raccontano anche molte storie, comprese quelle dei giovani perseguitati per la loro fede. Padre Paolo Thabet Mekko, il sacerdote che per primo è tornato nella Piana di Ninive, dopo la sconfitta e la cacciata dello Stato islamico, è stato un importante punto di riferimento per le decine di migliaia di profughi cristiani, fuggiti nel Kurdistan nel 2014. “La situazione dei giovani in Iraq non è buona – ha detto – la libertà è quasi negata; parlare e criticare i religiosi radicali di oggi, che controllano la vita in Iraq è quasi impossibile. Chi critica ed è una persona attiva rischia di essere ucciso in segreto o escluso dalla vita sociale”. Il padre ha raccontato il lavoro per ridare speranza ai giovani e farli restare in Iraq, il recupero delle chiese profanate, la voglia di dialogo con l’ Islam moderato. “È stato importante – ha detto – sacrificare la paura, la pigrizia e credere con forza che non abbiamo altra scelta al di fuori di questa. Per molta gente tutto rimaneva difficile, ma molta altra ha iniziato a capire che era conveniente ritornare. Oggi il lavoro è cominciato da un anno e più e vi sono stati tanti cambiamenti. Un buon numero di cristiani è ritornato, circa il 45 per cento”. E “malgrado la grande crisi, la fede dei giovani è viva. Nella fuga abbiamo continuato a vivere con loro nelle tende, nei containers, in posti inadeguati, facendo incontri pastorali e spirituali”.
E dal Brasile Padre Marcelo Farias dos Santos, missionario del Pime, a partire dalla sua vocazione, ha spiegato che i giovani di oggi, vanno oltre i discorsi e cercano rapporti umani costruiti sulla fiducia. “Ciò che mi ha convinto a diventare missionario non sono stati tanti bei discorsi, ma uomini credibili, uomini la cui vita parlava del Vangelo”.