UN INCONTRO RAVVICINATO… DAVVERO SPECIALE

Tempo fa don Cesare mi aveva informato che i sacerdoti che festeggiano gli anniversari di ordinazione sacerdotale (25° e 50°) possono fare richiesta di concelebrare la S. Messa con il Papa a Santa Marta. Così, mesi fa, ho inviato alla Segreteria particolare del Papa una lettera. Mi era stato detto: “Arrivano al Papa migliaia di richieste, ma se non ti rispondono subito è buon segno…”. E così è stato.

Lunedì 7 gennaio ho avuto la gioia di concelebrare con Papa Francesco nella Casa Santa Marta.

Dal momento che dovevo essere a Roma al mattino presto, ho pensato di partire la domenica pomeriggio e di chiedere ospitalità per la notte alle Suore Francescane dell’Addolorata che hanno una casa di accoglienza proprio a ridosso della Basilica di S. Pietro. Al mattino, alle 6.30, esco di casa e dopo un centinaio di metri mi ritrovo, con altre persone, davanti alle guardie svizzere che presidiano l’ingresso della Città del Vaticano dal lato della piazza del Sant’Uffizio, a sinistra della Basilica. Le guardie controllano le nostre carte d’identità, i cui nomi devono corrispondere a quelli in elenco ammessi ad entrare per la celebrazione mattutina. All’interno del Vaticano, due ulteriori controlli dei nostri documenti da parte dei gendarmi ci conducono all’ingresso della Casa del Papa. Ci fanno accomodare in una saletta. Siamo poco meno di trenta persone: tre sacerdoti, alcune suore, alcune coppie di sposi e una famiglia con un bambino. Passa qualche munito e noi sacerdoti veniamo accompagnati in un’altra sala per indossare i paramenti della celebrazione, il camice e la stola bianca. Da lì entriamo in chiesa e c’invitano a prendere posto nella prima fila. Un sacerdote che aiuta il Papa nella celebrazione ci assegna dei compiti: la lettura del Vangelo e di una parte della preghiera eucaristica, la distribuzione della Comunione. Il Papa quindi esce dalla sacrestia laterale e inizia la S. Messa. Cammina lentamente il Papa, a tratti sembra ciondolante, ma il suo passo è sicuro e deciso.

Nella S. Messa le letture ci aprono all’ascolto di un brano della prima lettera di San Giovanni, che – commenta il Papa nell’omelia – è “ossessionato dal mistero dell’incarnazione di Gesù”. Gesù è un Dio concreto – continua il Papa –, non un Dio “soft”: è venuto tra noi in “carne”, lo abbiamo potuto vedere, udire, toccare. E anche il suo comandamento, il comandamento dell’amore, è concreto: ama veramente non chi fa discorsi astratti sull’amore, ma chi si abbassa, si china sugli altri, si sporca le mani, tocca la “carne” dei fratelli.

Le parole del Papa sono vive, profonde, vere. Come le parole del Vangelo. Entrano nelle orecchie e nel cuore, ma bucano anche la pancia.

Al termine della S. Messa, il Papa si ferma in chiesa qualche minuto per la preghiera personale di ringraziamento. Si siede su una poltrona, appena dietro la fila della gente che ha partecipato all’Eucaristia. Esce quindi da solo dalla chiesa e ci attende nel salone d’ingresso per salutarci uno alla volta personalmente.

Anch’io mi avvicino e, quand’è il mio turno, mi muovo verso il Papa. Mentre gli vado incontro, mi dico: “è proprio come l’ho sempre visto, lo conosco”, ma i suoi occhi e il suo sorriso sembra che mi dicano: “Ma io non ti conosco!”. “Ah già, è vero” – mi dico     nello spazio di una frazione di secondo: “Devo presentarmi!”. Così attacco: “Papa Francesco, sono don Pierangelo, sono parroco e vengo da Chioggia, in provincia di Venezia”. Il Papa mi ascolta e mentre gli mostro e gli consegno il fascicoletto con i messaggi, gli auguri, le preghiere e le firme della gente raccolti il giorno prima alla fine delle SS. Messe, esclama: “Ah, queste sono le cose belle”. Anche al Papa, mi dico, piace leggere il cuore della gente e attraverso gli scritti immaginare i volti e le storie di tutti. Il tempo dell’incontro ravvicinato col Papa sta per scadere. Riesco a dirgli: “Posso salutarla con un abbraccio?”. Ma non aspetto neanche la risposta, perché sono già proteso nell’abbraccio verso di lui. “Grande abbraccio quello di Francesco”, mi scrive un amico dopo aver visto la foto che mi ritrae col Papa. E aggiunge: “Bisognerebbe avere il cuore come quell’abbraccio”. “Sì”, mi dico: “Porterò a tutta la mia gente la bellezza e la tenerezza di quell’abbraccio perché ciascuno possa immergervi il proprio cuore”.