Dall’udienza di mercoledì 16 gennaio u.s.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Proseguendo le catechesi sul “Padre nostro”, oggi partiamo dall’osservazione che, nel Nuovo Testamento, la preghiera sembra voler arrivare all’essenziale, fino a concentrarsi in una sola parola: Abbà, Padre (Gal 4,6). […] Dopo aver conosciuto Gesù e ascoltato la sua predicazione, il cristiano non considera più Dio come un tiranno da temere, non ne ha più paura ma sente fiorire nel suo cuore la fiducia in Lui: può parlare con il Creatore chiamandolo “Padre”. L’espressione è talmente importante per i cristiani che spesso si è conservata intatta nella sua forma originaria: “Abbà”. È raro che nel Nuovo Testamento le espressioni aramaiche non vengano tradotte in greco. Dobbiamo immaginare che in queste parole aramaiche sia rimasta come “registrata” la voce di Gesù stesso: hanno rispettato l’idioma di Gesù. Nella prima parola del “Padre nostro” troviamo subito la radicale novità della preghiera cristiana. Non si tratta solo di usare un simbolo – in questo caso, la figura del padre – da legare al mistero di Dio; si tratta invece di avere, per così dire, tutto il mondo di Gesù travasato nel proprio cuore. Se compiamo questa operazione, possiamo pregare con verità il “Padre nostro”. Dire “Abbà” è qualcosa di molto più intimo, più commovente che semplicemente chiamare Dio “Padre”. Ecco perché qualcuno ha proposto di tradurre questa parola aramaica originaria “Abbà” con “Papà” o “Babbo”. Invece di dire “Padre nostro”, dire “Papà, Babbo”. Noi continuiamo a dire “Padre nostro”, ma con il cuore siamo invitati a dire “Papà”, ad avere un rapporto con Dio come quello di un bambino con il suo papà, che dice “papà” e dice “babbo”. Infatti queste espressioni evocano affetto, evocano calore, qualcosa che ci proietta nel contesto dell’età infantile: l’immagine di un bambino completamente avvolto dall’abbraccio di un padre che prova infinita tenerezza per lui. E per questo, cari fratelli e sorelle, per pregare bene, bisogna arrivare ad avere un cuore di bambino. Non un cuore sufficiente: così non si può pregare bene. Come un bambino nelle braccia di suo padre, del suo papà, del suo babbo.
Ma sicuramente sono i Vangeli a introdurci meglio nel senso di questa parola.
Immaginiamo questa preghiera pronunciata dal figlio prodigo (cfr Lc 15,11-32), dopo aver sperimentato l’abbraccio di suo padre che lo aveva atteso a lungo, un padre che non ricorda le parole offensive che lui gli aveva detto, un padre che adesso gli fa capire semplicemente quanto gli sia mancato. Allora scopriamo come quelle parole prendono vita, prendono forza. E ci chiediamo: è mai possibile che Tu, o Dio, conosca solo amore? Tu non conosci l’odio? No – risponderebbe Dio – io conosco solo amore. Dov’è in Te la vendetta, la pretesa di giustizia, la rabbia per il tuo onore ferito? E Dio risponderebbe: Io conosco solo amore. Il padre di quella parabola ha nei suoi modi di fare qualcosa che molto ricorda l’animo di una madre. Sono soprattutto le madri a scusare i figli, a coprirli, a non interrompere l’empatia nei loro confronti, a continuare a voler bene, anche quando questi non meriterebbero più niente. Basta evocare questa sola espressione – Abbà – perché si sviluppi una preghiera cristiana. E San Paolo, nelle sue lettere, segue questa stessa strada, e non potrebbe essere altrimenti, perché è la strada insegnata da Gesù: in questa invocazione c’è una forza che attira tutto il resto della preghiera. Dio ti cerca, anche se tu non lo cerchi. Dio ti ama, anche se tu ti sei dimenticato di Lui. Dio scorge in te una bellezza, anche se tu pensi di aver sperperato inutilmente tutti i tuoi talenti. Dio è non solo un padre, è come una madre che non smette mai di amare la sua creatura. […] Può darsi che anche a noi capiti di camminare su sentieri lontani da Dio, come è successo al figlio prodigo; oppure di precipitare in una solitudine che ci fa sentire abbandonati nel mondo; o, ancora, di sbagliare ed essere paralizzati da un senso di colpa. In quei momenti difficili, possiamo trovare ancora la forza di pregare, ricominciando dalla parola “Padre”, ma detta con il senso tenero di un bambino: “Abbà”, “Papà”. Lui non ci nasconderà il suo volto. […] Lui non si chiuderà nel silenzio. Tu digli “Padre” e Lui ti risponderà. Tu hai un padre. “Sì, ma io sono un delinquente…”. Ma hai un padre che ti ama! Digli “Padre”, incomincia a pregare così, e nel silenzio ci dirà che mai ci ha persi di vista. “Ma, Padre, io ho fatto questo…” – “Mai ti ho perso di vista, ho visto tutto. Ma sono rimasto sempre lì, vicino a te, fedele al mio amore per te”. Quella sarà la risposta. Non dimenticatevi mai di dire “Padre”.